La capacità di «lasciar andare», in una relazione.

Come mai faccio così fatica a «lasciar andare» quella persona?
Te lo sei forse già chiesto, nel corso della tua esperienza di Vita?
Le risposte possono essere tante e dalle sfumature differenti: qui, per sintesi, riporto le tre maggiormente probabili (possibile che, in una di queste, possa ritrovarti anche tu).

Caso 1: la paura dell’abbandono.
Quando ti parlo di paura dell’abbandono mi riferisco all’incapacità di lasciar andare l’altra persona per timore della solitudine che ne conseguirebbe: un po’ più nel profondo, è come ammettere una parziale incapacità nel procedere in autonomia.
Lo spunto di riflessione che ti pongo è: hai saputo mantenere una tua identità autonoma nel corso della relazione?
Oppure, caso contrario, hai sfumato i confini della tua persona fino a perderti nell’altro?
In questo secondo caso è possibile che una parte di te vada ora ritrovata, forse anche ricostruita: è quella parte di te che, fondendosi con l’altro, si è smarrita nel corso della relazione.
L’intima fusione non è di per sé da evitare ma, anzi, può essere funzionale se limitata a pochi e definiti istanti: uno «smarrimento temporaneo», circoscritto a quegli attimi in cui l’intimità è particolarmente intensa.
Uno «smarrimento» che presto cessa, per ridefinire l’individualità delle due persone in relazione: due identità che scelgono di camminare e crescere insieme, divenendo una cosa sola per pochi attimi di tanto in tanto e, per il restante tempo, mantenendosi definite nelle loro singolarità.
Se senti questa situazione ti risuoni potresti chiederti: «Quale parte di me ho sentito dissolversi nella relazione con l’altro, e come potrei ora ricostruirla?»

Caso 2: la convinzione di poter cambiare il prossimo.
Questo accade quando la difficoltà nel «lasciar andare» è nutrita dalla profonda convinzione che l’altra persona, prima o poi, potrebbe cambiare per avvicinarsi all’ideale che le chiedi (ed a quel punto, quindi, la relazione potrebbe procedere).
Facciamo chiarezza su un aspetto importante: ogni persona ha in sé un potenziale evolutivo che potrà mettere più o meno in gioco, in corso di Vita, a seconda della propria motivazione personale.
La decisione di metter in gioco quel potenziale è, però, esclusivamente personale: la persona può avviare un processo di crescita che porti ad un cambiamento duraturo solo se davvero lo sente e lo desidera, in prima persona.
Un cambiamento indotto da una tua richiesta potrebbe anche fortuitamente avvenire ma non sarà che temporaneo, di breve durata: se è stato «forzato dall’esterno» quel cambiamento si mostrerà già nel breve periodo reversibile, portando la persona ad essere nuovamente quella di prima, cioè se stessa.
È necessario quindi riconoscere la nostra impotenza nel forzare un cambiamento evolutivo e permanente in un altro individuo: l’augurio è che, in questo processo, possa aiutarti la domanda che ti lascio qui a seguire.

«Quanto riesco ad accogliere di quella persona e, soprattutto, come posso comunicarle in modo costruttivo ciò che fatico ad accettare?»

Caso 3: la relazione come opportunità di crescita.
Qui la premessa da tener a mente è che una relazione porti con sé un grande potenziale evolutivo: l’altra persona è infatti in grado di farci involontariamente da specchio, rendendoci così consapevoli delle nostre criticità, delle nostre ombre, dei nostri «spigoli da smussare».
Presa coscienza di quanto scritto qui sopra, potrebbe palesarsi il pensiero di voler restare in relazione con l’altra persona poiché questo mi aiuterà ad evolvere.
Tale evoluzione, però, dovrebbe essere un processo naturale, che avviene quando entrambe le persone scelgono di stare vicine l’una all’altra, alla giusta distanza: una distanza che, appunto, permetta loro di crescere ed evolvere.
Se mi concedi una metafora presa in prestito da Madre Natura, anche l’albero ha bisogno del Sole per far maturare i suoi frutti e, come scritto sopra, ha bisogno che il Sole sia alla giusta distanza: non troppo vicino da bruciare e non troppo lontano da smarrire il suo calore.
Maturati quei frutti, l’albero accoglie poi il fatto che il Sole se ne vada per lasciar spazio all’Autunno: in questo processo vedo nella figura dell’albero una sorta di fiducia, ovvero la fiducia che il Sole gli resti vicino fino a quando lui ne avrà bisogno per far maturare i suoi frutti.
Sull’esempio dell’albero, puoi trovare quella fiducia anche tu?
La fiducia che se hai bisogno del Sole per maturare, questi non se ne andrà prima del tempo (e che, quando se ne andrà, sarà forse perché ha già agito in te la sua magia).
A te, a quel punto, non resta che accogliere l’Autunno, guardando ai frutti che nel frattempo sono maturati.