Nel mezzo del cammin di tua vita, di nostra vita.

Alighieri Dante.

«Nel mezzo di cammin di nostra Vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita» è forse uno degli incipit più famosi della letteratura italiana (probabilmente gli si avvicina solo «Quel ramo del lago di Como…»): chissà quante volte sarà successo anche a te, di sentirteli ripetere o doverli recitare.
Per quanto venga sovente citato a memoria, l’incipit de “La Divina Commedia” ha tuttavia un significato profondo: lo puoi trovare già a partire dall’iniziale informazione che, raggiunti i trentacinque [1] anni di età, la «diritta via venga smarrita».
Inoltre, un altro elemento che contribuisce ad arricchire il messaggio di questi primi versi della Divina Commedia, è come Dante parli della nostra vita anziché della sua, donando così all’opera da lui scritta un respiro universale, attribuibile all’umanità intera.
Il componimento dantesco si apre quindi con un evidente senso di smarrimento all’inizio di un viaggio che ci accomuna, in quanto esseri umani, raggiunta l’età di trentacinque anni: è un viaggio avente come méta quella di «condurre gli uomini verso uno stato di felicità, rimuovendoli dalla miseria morale» [2] (per citare Dante stesso, a riprova del fatto che l’Autore si riferisse all’intera collettività, alla «nostra» vita).
Ricercare la felicità (azione per chi scrive strettamente correlata al trovare un senso profondo alla propria esistenza) è un bisogno che, a quanto ho potuto osservare, si fa infatti particolarmente presente proprio nel decennio compreso tra i 30 ed i 40 anni d’età.
Ti ritrovi?
Tra i 30 ed i 40 anni, «nel mezzo di cammin di nostra Vita», emerge infatti un sentire che pare essere come una sveglia: una sveglia particolare, per la quale non esiste snooze, possibilità di rimandare.

Una sveglia che ti invita a trovare la tua personale risposta alla domanda: «Che senso hanno, questi 80 anni di vita che ho a disposizione?»

Quanto qui sopra riportato, citando la Divina Commedia come esempio, è inoltre in accordo con la teoria dei Chakra poiché (secondo questa antica conoscenza indiana) il «giro di boa» dei 35 anni è associato al desiderio di ricercare anche con l’intuito un significato spirituale al tuo «cammino di vita»: far questo cominciando da come ti esprimi, concretamente, nei vari ambiti del tuo quotidiano (familiare, lavorativo, eccetera).

Rappresentazione figurativa di Ajna Chakra, sesto tra i principali Chakra del corpo umano.

Questo accade a trentacinque anni poiché, secondo questa teoria, ognuno dei principali Chakra sviluppa in modo prioritario nell’arco di un settennio: possiamo sinteticamente riassumere che il I° Chakra sia prioritario dagli 0 ai 7 anni, il II° Chakra dai 7 ai 14 anni e così via fino a giungere all’età che ci interessa, dai 35 ai 42 anni, in cui è prioritario lo sviluppo di Ajna Chakra, VI° Chakra legato all’intuizione, ad una più fine percezione ed alla consapevolezza che ne deriva.
Con l’ausilio di una metafora ti scrivo che, se fino ai trentacinque anni la vita è stata come l’osservazione e l’esperienza epigea di un bosco, con lo sviluppo di Ajna Chakra ti è permesso di intravedere anche le radici che stanno al di sotto del suolo e percepire così interconnessioni fino a ieri nascoste, dalle quali emerga una più profonda consapevolezza su quanto accada nel mondo visibile, al di sopra del terreno.
Con la fioritura di Ajna ti è più facile intuire cosa ti stia suggerendo l’esistenza, anche in merito a quella che per te rappresenti la diritta via: intuire cosa ti stia suggerendo quell’esistenza che (pur sviluppando visibilmente al di sopra del terreno) ha tuttavia origine nel sottosuolo, dove le radici si intrecciano, assorbono nutrimento e collegano tra loro le varie forme di vita.
«Nel mezzo di cammin di nostra vita», nel decennio che va dai 30 ai 40 anni, può allora emergere una spinta interiore a voler andare più a fondo, a chiederti quale sia la natura dei fenomeni che osservi e come questi siano interrelati: come se una voce ti suggerisse, in fondo, che l’esistenza non sia solo una mera successione di eventi ma che, al contrario, quegli eventi nascondano in sé messaggi ed insegnamenti profondi (ancor più preziosi se visti in sequenza, secondo la loro naturale successione).
Da quella che è la mia osservazione, sia autobiografica che delle vite da me incontrate lungo il cammino, pare dunque fisiologico che intorno ai trentacinque anni emergano consapevolezze o domande che, almeno di primo acchito, ti giungano destabilizzanti: prender atto di questo come di un processo naturale può già di per sé attenuare la solitudine, facendoti sentire parte di una grande comunità umana che a quell’età ha attraversato le stesse fatiche.
Per quanto possa sì esser causa di fastidiosi assestamenti nel terreno, se accogli quanto accade tra i 30 ed i 40 anni come un processo fisiologico puoi inoltre trasformarlo in preziosa opportunità per far ciò che, di questi tempi moderni, solitamente viene tralasciato: fermarti e ritrovarti, preparandoti alla seconda metà del «cammin di nostra vita» ripartendo da te.
E, ripartendo da te, avrai già raggiunto un primo grande risultato: dissolvere il senso di smarrimento della diritta via.
Ritrovare te e la diritta via, conoscendoti più a fondo ed in apertura di cuore, per far sì che il tuo quotidiano possa acquisire un significato più vivo ed arricchente: per far sì che, dalla selva oscura, nuove intuizioni e prospettive ti guidino verso un ritrovato benessere.
Tuo e, per estensione, di chi ti sta vicino.

Se quanto hai letto ti risuona, se ti ritrovi per età anagrafica o per esperienze di vita, ti scrivo che (come Counselor) posso accompagnarti in un tratto del cammino, al di fuori della «selva oscura» (ecco il link ai miei contatti).

Infine, qui a seguire, ti lascio un video tematicamente correlato:

Note a piè di pagina:

[1] Il poema si apre con una precisa indicazione: la vicenda sviluppa nel 1300, quando il personaggio Dante ha 35 anni. Il fatto che il poeta ritenesse quest’età il «mezzo», il punto centrale della vita, è chiarito in un’altra sua opera, il Convivio, ove Dante riprende un passo biblico del Salmo 89 e paragona l’esistenza dell’uomo proprio ad un arco il cui apice corrisponde al trentacinquesimo anno di età.

[2] In un testo latino (l’Epistola a Cangrande) Dante ha scritto che il suo obiettivo era quello di «removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis» (rimuovere gli uomini dalla miseria morale e condurli verso uno stato di felicità).